Negoziati di pace (27)

Giunsero al posto di comando proprio mentre Lillian Fennersdottir, scortando un cuciniere, si presentava a rapporto con le provviste richieste: un grosso tegame fumante, una gerla di vimini colma di gallette, alcuni orci. Dal tegame si alzava un gradevole profumo di erbe e di pesce, e l’Elfa si chiese oziosamente quale miracolo avesse compiuto Bruin: dove aveva trovato, in quella pianura circondata da montagne e priva di fiumi che non fossero rigagnoli, quegli abitatori del mare? E quanto li aveva pagati? Bastas, uscita sulla soglia, vide l’amante e di buon grado fece un passo indietro lasciando all’Elfa bruna il comando delle operazioni. Del pari di buon grado, congedato il cuciniere, ne rilevò il posto tra le stanghe del traballante carretto sul quale erano stipate le provviste e con l’aiuto della giovane Barbara, che aveva scoccato più di un’occhiata a Rebon, prese la strada delle nuove baracche, con l’ordine di consegnare il cibo a Toson e di tornare indietro più in fretta possibile.

Belladonna e Rebon si accomodarono al centro della tenda, il più lontano possibile dalle pareti, ed il piccolo lanciere si guardò a lungo attorno prima di dirsi soddisfatto e di iniziare il rapporto.

“Mia signora, sai già che lo Stato Maggiore intende ucciderti, e con te tutti noi che siamo percepiti come uomini e donne di tua fiducia. Lo Stato Maggiore intende altresì impadronirsi della Regina e prendere il potere”.

“Lo sto già facendo io, sanno anche loro che in tempi come questi chi controlla il corpo del re controlla il potere”.

“Mia signora, non è una cosa su cui scherzare: quanti della tua armata ti difenderebbero contro le forze dello Stato Maggiore?”.

“Ci siamo già posti il problema, ma ora le cose sono cambiate. Io ho più uomini, più mezzi, ed ho vinto un’altra battaglia, anzi, ho vinto la Guerra delle Streghe dopo aver vinto la Guerra della Regina: è lo Stato Maggiore che dovrebbe chiedersi quanti delle loro armate obbedirebbero all’ordine di attaccarci”.

“So che tu non vuoi governare, mia signora, ed è un peccato. Capisco bene che non intendi scatenare una guerra civile nel Regno, ma non sarai mai al sicuro se non metti al loro posto i generali”.

“Intendi ucciderli? Preferirei di no”.

“Potresti dover scegliere tra te e loro, mia signora”.

Belladonna non ebbe neanche bisogno di pensarci: si fidava di Rebon come di sé stessa e non vedeva alcun motivo di celargli i propri programmi futuri.

“Tratteremo la pace, firmeremo il trattato alle migliori condizioni possibili, e poi Bastas ed io spariremo, semplicemente. Attraverso la Terra delle Streghe potremo raggiungere il mare occidentale e di lì le Isole. Cambieremo nome e magari aspetto: Bastas non vede l’ora di lasciar ricrescere i capelli e si augura che anche io faccia lo stesso, adorava la mia treccia cui dava strattoni durante il gioco del piacere”.

Rebon arrossì: “Anche a me piace tirare i capelli a Tessa mentre la prendo da dietro, ed a lei piace mescolare il piacere con un po’ di dolore. Perdonami, mia signora, sto divagando. Dovresti però trovare un modo di tenere i generali occupati almeno per le prossime albe”.

“Già, prima che mandino qui altri assassini. Sono sicura che tu hai qualche idea, non è vero?”.

“In realtà sì, mia signora. La Regina, adesso, governa le Terre Conosciute. Nomina il generale invitto viceré della Terra degli Elfi, e magari Samel viceré del Regno dei Boschi, ed un altro ancora viceré del Regno del Nord, ed inviali ad occupare i loro nuovi troni nel nome della Regina. Avrebbero abbastanza da fare per lasciarti tranquilla, almeno per un po’”.

Negoziati di pace (26)

“Mia signora”, disse con il fiato corto, “sta arrivando un convoglio. Mio fratello se ne sta occupando come da tuoi ordini, e mi ha incaricato di avvertirti il più in fretta possibile”.

Belladonna pensò in fretta ed in fretta dette gli ordini: “Cerca il tenente Bastas e pregala di presentarsi al comando, poi vai dai cuochi e fai portare da me acqua acidulata, vino e zuppa per dieci persone. Sei dispensata dal servizio sino a nuovo ordine, e adesso corri”.

L’Elfa ricambiò distrattamente il saluto della giovane Barbara e si avviò di buon passo, senza voltarsi indietro: avrebbe visto la giovane Strega seguirla con lo sguardo degli occhi bianchi ed un piccolo sorriso sulle labbra.

Arjo Fennersson attendeva in posizione di rispetto, le spalle rivolte alla piccola colonna di carri, e si mostrò palesemente sollevato quando Belladonna lo mise in libertà ordinandogli di tornare al suo posto davanti al comando. L’Elfa aveva parlato a voce sin troppo alta, contrariamente al solito, e quando il Barbaro si fu allontanato dal carro scese cautamente Rebon. Il piccolo lanciere si guardò cautamente intorno e, vista Belladonna avvicinarsi, scattò in posizione di rispetto. L’Elfa ricambiò il saluto, trattenendosi a fatica dall’abbracciare il suo antico attendente, e ascoltò il breve rapporto.

“Mia signora, niente da segnalare. Ho messo in libertà i cavalleggeri di scorta e col tuo permesso, siamo pronti a trasferire il carico”.

“Permesso accordato. Ma prima vorrai ispezionare i locali, immagino”.

“Non c’è tempo di farlo, mia signora. Vedrai tu direttamente il perché”.

Ad un ordine di Rebon, dai carri scesero Tessa, Toson, Irina Fiodorovna e Aliena Ivanovna, per disporsi su due file, e finalmente Ressa che guidava la Regina Nera, infagottata in un mantello con cappuccio che la nascondeva dalla testa ai piedi; con i fianchi protetti dal duplice cordone di lancieri, Ressa e la Regina entrarono nella baracca.

“E’ anche bendata, ho preferito così. A lei piace, pensa che faccia parte dei giochi del piacere che fa con te, mia signora: si aspetta di trovarti ad attenderla, ma questa volta il gioco sarà un po’ diverso, credo”. Rebon fece una pausa. “Dove possiamo parlare senza testimoni?”, chiese.

E aggiunse, come per un ripensamento: “Mia signora, perdona il tono, ma ci sono cose che devi assolutamente conoscere e che non ho potuto dirti in precedenza: anche attraverso il potere potrebbe non essere sicuro”.

“Andiamo al posto di comando, allora; metterò in libertà Arjo Fennersson e Lillian Fennersdottir e lascerò Bastas di guardia, se necessario”.

“Sempre col tuo permesso, mia signora, sarebbe gradito mettere sotto i denti qualcosa”.

Belladonna sorrise mettendo in mostra i denti bianchi e regolari da Elfa: “Ho già provveduto”, rispose, “spero ce ne sarà abbastanza anche per Toson. Seguimi, un passo e mezzo dietro di me”.

Negoziati di pace (25)

“Ho conosciuto una tua Sorella cui erano stati tagliati i capezzoli”, disse l’Elfa. “Non lo farò a te, perché mi priverebbe di una parte di te che potrà darmi, a tempo debito, molto piacere”. La Strega, gli occhi bianchi fissi in quelli castani di Belladonna, respirava faticosamente tra le labbra socchiuse: l’Elfa aveva stretto un po’ di più il nodo alla gola della prigioniera.

“So bene che ogni taglio ti allontana dalla vita dopo la morte, anche se la ferita si rimargina perfettamente: mutilare così una Sorella tagliando una parte del corpo è terribilmente crudele e significa condannare una di voi a restare morta per sempre”.

La Strega annuì e Belladonna la vide, come oltre un velo, per quello che era in quella piccola clessidra, un coniglio tremante stretto tra le mascelle di una volpe.

“Non lo farò”, continuò, “te lo ho già promesso, ma non contare troppo sulla mia clemenza. E mi sto chiedendo cosa potrei tagliare dal tuo corpo senza privarmi del piacere che potrò prenderne. E l’Elfa, con il gesto fluido che le era consueto, estrasse con la mano sinistra Sorriso Solitario dal fodero tra le scapole. La lama brillò catturando la poca luce, poi sibilò in un fendente, bloccato con mano ferma a contatto con i bruni capezzoli eretti della Strega.

“Sei stata brava a non muoverti, altrimenti avrei potuto tagliarti”, sorrise Belladonna tenendo la lama affilata a contatto con la carne della prigioniera. La Strega tremò visibilmente ed una goccia di sangue macchiò la lama luccicante. Il sorriso dell’Elfa si allargò: “Ci siamo: raccontami tutto quello che devo sapere sulle mie prigioniere e le loro madri che siedono nella Tavola. Poi potrai bere ancora, mangiare la tua galletta e riposare nel recinto degli ufficiali”.

La Strega annuì e guardò di nuovo, supplice, Belladonna che incombeva su di lei; l’Elfa comprese e avvicinò la lama sporca di sangue alle labbra della prigioniera che dopo una brevissima pausa, la baciò e leccò avidamente. E parlò. Incoraggiata dall’Elfa che annuiva, la blandiva e le porgeva, a tratti, da bere, la Strega elencò una per una gli ufficiali ora prigioniere di guerra che avevano legami di sangue con le Sorelle della nuova Tavola e si dichiarò pronta ad indicarle a Belladonna. “Potrai fare loro quello che stai facendo a me, mia Signora, ed io non ne sarò gelosa”, aggiunse alla fine, dopo aver di nuovo baciato e leccato l’affilata lama luccicante di Sorriso Solitario. L’Elfa le assicurò che non ce ne sarebbe stato bisogno e che di tutte le Sorelle aveva interrogato in quel modo solo lei. La Strega le credette e di buon grado, tenuta sempre al guinzaglio da Belladonna che aveva appena allentato il nodo scorsoio di quel minimo che consentiva alla prigioniera di marciare, attraversò nuda l’accampamento fino a raggiungere il recinto con gli altri ufficiali; l’Elfa ordinò al graduato che comandava il turno di guardia di dar da mangiare alla nuova reclusa ma di non lasciare che si rivestisse per le successive tre albe, e di tenerla separata dalle altre. Fece in tempo a porgere la mano da baciare prima che una trafelata Lillian Fennersdottir la raggiungesse di corsa ed eseguisse un accettabile arresto in posizione di rispetto a tre passi da lei.

Negoziati di pace (24)

La Strega si morse le labbra e abbassò ancora di più lo sguardo. L’Elfa decise di aumentare la pressione sulla prigioniera e aggiunse: “Quel grosso lanciere deve essere ancora qui fuori in attesa di ordini. Io ho ancora del lavoro da sbrigare, potrei richiamarlo per concludere la cerimonia”.

La Strega quasi urlò: “Mia signora, questa prigioniera ti prega di concluderla tu”.

“Dovrai darmi qualcosa in cambio”, replicò seccamente Belladonna.

“Per questo, mia signora, devo pagare più duramente: tradisco le sorelle”.

L’Elfa pensò alla madre della prigioniera, che avrebbe dovuto togliere al più presto dalle  mani di Guionnen; le ripugnava affidare a lui anche la figlia. L’incertezza era palese e la Strega aggiunse: “Mia signora, sente questa prigioniera che a te il dolore piace; piace provarlo ed infliggerlo. Questa prigioniera è nelle tue mani; dunque fammi male, mia signora: hai detto che sai come convincere una di noi a tradire le Sorelle. Dimostralo”.

Belladonna comprese cosa voleva intendere la Strega: fallo tu, direttamente, con le tue mani, fammi vedere che hai il coraggio delle tue azioni illegali davanti alle leggi di guerra e di pace degli Uomini, degli Elfi e di tutti gli abitanti delle Terre Conosciute, in nome della necessità che non conosce legge, fallo e ti rispetterò ancora di più, e ben oltre le formule di omaggio che deve una prigioniera di guerra a chi l’ha catturata e sottomessa. L’Elfa capì anche che la Strega inginocchiata davanti a lei sapeva, in qualche arcano modo, che la madre già si trovava nei tormenti per un suo ordine.

Negoziati di pace (23)

L’Elfa sentì su di sé lo sguardo intenso degli occhi bianchi della giovane Strega che non aveva avuto il coraggio di interrompere le riflessioni di Belladonna e la guardava da sotto in su, in attesa di un cenno o di una domanda. E Belladonna chiese: “Cosa è in grado di fare la Tavola davanti ad un rifiuto della Regina Vittoriosa? Noi potremmo volere sia tutto quello che abbiamo già in mano sia quello che potremo prendere, trasformando la vostra terra in una nostra provincia e tutte le tue Sorelle in schiave, dopo avervi sconfitte e disarmate. Perché dovremmo accontentarci di qualcosa di meno?”.

“Mia signora, questa prigioniera non può osare darti consigli o suggerimenti. La Tavola ha giurato di trattare fino all’ultima piccola clessidra per evitare un trattato che privi le Sorelle di terra e di libertà; con il favore della Guardia può armare le sorelle veterane e quelle ancora nelle scuole militari. Alla fine ci sconfiggerai, ma vedrai morire i tuoi soldati e dovrai uccidere tante di noi da sguazzare nel sangue sino alle ginocchia, mia signora“.

“La Regina Vittoriosa non ama sentirsi dire di no. Se la Tavola punta ad una trattativa lunga, noi abbiamo i modi per abbreviarla”, disse l’Elfa, pensando a tutti i problemi da affrontare e al poco tempo a disposizione. E aggiunse: “Cosa potrà aggiungere la Tavola alla sua offerta?”.

“Mia signora, più che la Tavola occorrerà parlare con le Guardie. Ne verranno, a Castello Piccolo, e saranno in incognito”.

“Sarai tu, dunque, ad indicarmi di chi si tratta”.

“Mia signora, perdona questa prigioniera, ma non conosco le Guardie, tranne quella che ha partecipato al mio interrogatorio quando ho consegnato i documenti firmati da mia madre. Le Guardie fondano il loro potere e la loro forza sul segreto: quella che si è mostrata ormai non sarà più Guardia, e neanche tra le Sorelle ancora in vita, da quello che si dice”.

Con un gesto molto umano l’Elfa si strinse nelle spalle, poi concluse: “La sfiducia delle Sorelle nella natura degli esseri viventi è davvero smisurata, e comunque più che giustificata”. Dette un nuovo strattone alla corda che stringeva la gola della Strega, la quale reagì con un lamento soffocato. “Non ti sto punendo per la risposta”, aggiunse Belladonna, “ti sto solo ricordando che la tua esistenza non è nelle tue mani, ma nelle mie”.

“Sì, mia signora. Grazie, mia signora”. La Strega abbassò gli occhi prima di aggiungere: “Posso dire che a questa prigioniera piace, mia signora?”.

“Sei stata brava fino ad ora. Ho ancora qualche domanda, poi ti darò anche da mangiare prima di portarti al recinto degli ufficiali. Dimmi, dunque: tra le sorelle prigioniere ci sono figlie di chi siede nella nuova Tavola?”, chiese Belladonna chinandosi verso la Strega come per baciarla e abbassando la voce. “Puoi dirmelo, nessuno saprà di questa nostra conversazione, e ne trarrai beneficio per il futuro, quando la maestà della Regina ti avrà donata a me, insieme a tua madre “. L’Elfa sfiorò le labbra tumide della Strega on due dita in una leggera carezza e allentò impercettibilmente la stretta del canapo alla gola della prigioniera.