Accordi Sottoscritti (1)

Forse perché non prevedeva il contatto col nemico, il piano di marcia predisposto per l’Armata della Vittoria fu rigorosamente rispettato e così un piccolo stormo di fanteria montata, che costituiva l’avanguardia della più ridotta colonna diretta all’incontro con la delegazione delle Streghe, entrò cautamente nella cittadina di Castello Piccolo alla clessidra prevista, trovandolo completamente vuoto di persone e animali, eccezion fatta per un drappello di Streghe che evidentemente si trovava lì  per lo stesso motivo; le Streghe e gli Uomini portavano bandiere di tregua e si limitarono a scambiarsi occhiate preoccupate prima di rimandare indietro pattuglie per riferire ai superiori dell’avvenuto contatto.

Belladonna era a metà della breve colonna, accanto ai carri chiusi in cui viaggiava la Regina con il suo piccolo seguito; quando le fu riferita la notizia avrebbe voluto avanzare di persona per verificare il terreno e ne fu dissuasa da Bastas.

“Mia signora, non è il momenti di esporti, e non devi essere tu ad attendere la Tavola, piuttosto il contrario: tu sei la vincitrice”, disse l’Elfa bionda. “E poi, io cavalco meglio di te”.

Avutane licenza da un cenno del Generale, la Bastarda chiamò a sé due cavalleggeri e partì a briglia sciolta. Belladonna avrebbe voluto dire all’amante di stare attenta e di essere più cauta: con il potere seguiva, piccola clessidra per piccola clessidra, la crescita del figlio che le aveva piantato dentro; la Bastarda non lo sapeva ancora e lo avrebbe scoperto solo di lì a qualche alba, quando non avrebbe visto apparire il suo sangue di Elfa dalla succosa vagina. Belladonna si chiedeva anche quando avrebbe avuto l’occasione di offrirsi ad Arjo Fennersson per farsi piantare dentro a sua volta un figlio; si chiedeva anche quando avrebbe di nuovo posseduto la Regina, che nel carro accanto a lei viaggiava nuda, bendata e legata come nuova prova di obbedienza, accompagnata da Tessa che le ripeteva all’orecchio quello che avrebbe dovuto fare quando sarebbe giunta a destinazione. Il carro era condotto con polso sicuro da Irina Fiodorovna e attentamente scortato dalla Guardia agli ordini di Rebon.

L’Elfa considerò la situazione approfittando della sosta. Aveva portato con sé i lancieri guidati da Lana Mastdottir, oltre a pochi cavalleggeri ed esploratori; si trascinava dietro anche la Strega che aveva sottoscritto l’armistizio, e sua figlia che aveva portato l’accettazione della nuova Tavola e le sorprendenti notizie dalla Terra delle Streghe: le due viaggiavano, bendate e imbavagliate, fianco a fianco nell’ultimo carro scoperto, ignorando l’una la presenza dell’altra. Il Generale sconfitto, dopo essere stato nelle mani di Guionnen e di Marison, non era in grado di muovere più di due o tre passi e doveva essere medicata ogni alba. Belladonna si chiese nuovamente se avesse sbagliato a fidarsi delle Streghe e rimpianse di avere affidato il grosso dell’Armata a Geon, che doveva essere ormai giunto a Castello Grande lungo le strade più agevoli e che si trovava dunque trenta miglia più addietro. “E sia”, concluse, “ora sono responsabile di un’altra vita, e di un’altra ancora che dovrà nascere, oltre a quelle di quanti hanno scelto di seguirmi, e dovrò fare del mio meglio per proteggerle”.

Negoziati di pace (34)

Il piacere condiviso aveva moltiplicato il potere di Belladonna con quello risorgente della Regina: col fiato corto, i muscoli prima contratti e subito dopo rilassati, abbandonata sulla schiena della Bastarda ed accarezzata dai seni della Regina, l’Elfa bruna vide chiaramente che l’amante aveva, proprio in quella piccola clessidra, accolto finalmente il figlio che le aveva piantato dentro. Vide anche che avrebbe di nuovo giocato con la Regina che però non avrebbe più avuto figli, e vide infine sé stessa, di nuovo presa a sua volta come una lepre da Arjo Fennersson, trovarsi con un figlio piantato dentro. L’Elfa distolse finalmente lo sguardo del potere: non voleva saperne di più, trovandolo di cattivo auspicio: come avrebbe fatto nascere il figlio e come lo avrebbe allevato, sarebbero state sue scelte. Cercò invece di scoprire come si sarebbe conclusa la trattativa con le Streghe, ma si ritrovò avvolta dalla nebbia; decise di non pensarci fino all’alba successiva, o meglio fino a quando si sarebbe trovata davanti la nuova Tavola, e riprese a godersi il calore e la solida morbidezza del corpo della Bastarda Reale sotto di lei, e le carezze della Regina che ai seni aveva aggiunto le mani e le sfiorava delicatamente le natiche prima di esplorare con la punta delle dita, l’orifizio dell’ano, strappandole nuove ondate di piacere.

La Bastarda prese a muoversi a sua volta, stimolando con le natiche sode e la succosa vagina il membro che ancora ornava l’inguine di Belladonna, rendendolo nuovamente turgido e potente. L’Elfa bionda mosse appena le labbra per sussurrare: “Mia signora, facciamo tutto noi, tu riposa”.

L’Elfa bruna sorrise, baciò la nuca rasata di Bastas e si abbandonò nuovamente al piacere, già immaginando quello che le avrebbe offerto la sua amante.

Negoziati di pace (33)

Davanti agli occhi di Belladonna l’Elfa bionda e la Donna bruna si stringevano, si baciavano e si allontanavano quel tanto che bastava per abbracciarsi di nuovo in una diversa posizione. L’Elfa bruna aveva richiamato il potere che avvolgeva la due amanti e lo aveva ritrovato più forte ed in qualche maniera diverso; lo teneva stretto, e lo aveva concentrato sul turgido membro che sporgeva tra le sue gambe e che le sembrava sempre più forte e contemporaneamente più sensibile; si rendeva perfettamente conto che il desiderio che provava e che stava tenendo a freno, era solo in parte causato dal potere, quello stesso potere che le sussurrava di attendere il momento giusto per interrompere il gioco del piacere cui stava assistendo e parteciparvi. Lo stesso potere che la rassicurava dandole la certezza che quella fosse l’occasione giusta per piantare dentro la Bastarda il figlio che tanto desideravano.

Pelle olivastra e pelle lattea, capelli neri corvini e capelli biondi, seni grandi e colmi e seni piccoli ed alti, fianchi rotondi e fianchi snelli passavano davanti agli occhi di Belladonna, così come nelle orecchie dell’Elfa bruna risuonavano i gemiti della Donna bruna e dell’Elfa bionda, diversi per il tono ma uguali per il  significato: facendosi via via più forti e ravvicinati, le amanti stavano per raggiungere il piacere. Belladonna si rese confusamente conto che non poteva permetterlo; non ebbe bisogno di aprire bocca per impartire l’ordine, cui seguì una piccola clessidra di silenzio. La Regina e la Bastarda si immobilizzarono, si sciolsero con diligenza dall’abbraccio in cui si erano avviluppate per assaporare ciascuna la succosa vagina dell’altra e si posero una accanto all’altra, in posizione di lepre, offrendosi all’Elfa. Solo per una piccola clessidra Belladonna si chiese come avesse fatto la Regina, che era ancora bendata, a muoversi con tale eleganza e precisione: la voce della Bastarda, che le chiedeva di prenderle, subito e con forza, spazzò via ogni pensiero.

Belladonna affondava alternativamente nelle due succose vagine, strappando ad ognuna delle sue amanti un gemito ogni volta che il turgido membro ne toccava il fondo; la Regina e la Bastarda si tenevano per mano e assecondavano le spinte con tutto il corpo, muovendosi a tempo sulle ginocchia, i gomiti e gli avambracci.  Quando il turgido membro lasciava una vagina per entrare nell’altra, l’Elfa e la Donna scuotevano il capo, e Belladonna poteva ammirare la nera cortina di capelli della Regina che sembrava vivere di vita propria e contemporaneamente rimpiangere di aver tagliato i ricci biondi della Bastarda. Affondò ancora una volta nel corpo della Regina e se ne sottrasse appena in tempo: la Donna raggiunse in quella piccola clessidra il piacere, cadde in avanti con un piccolo grido e la succosa vagina fu attraversata da contrazioni ben visibili; anche l’Elfa bruna era così vicina a raggiungere il piacere che non avrebbe resistito ad una sollecitazione così forte. Penetrò dunque la Bastarda con gli occhi fissi sulla succosa vagina della Regina che ancora continuava a contrarsi e finalmente spruzzò il succo del piacere, proprio mentre l’Elfa bionda levava il proprio gemito quasi a coprire il grido di gioia dell’amante che si svuotava così tanto e con tale forza da pensare che non sarebbe stata capace di farlo mai più.

Negoziati di pace (32)

“Vedo bene che il tuo corpo ricorda perfettamente le mie carezze, amica mia. Ne sono contento. E ricorda anche l’educazione che ti impartisco? Presto lo verificherò”.

“Fai tutto quello che vuoi, mio bell’ufficiale. Sono pronta per te, come sempre”. Ciò detto, la Regina passò in fretta la punta della lingua sulle labbra tumide, come a prepararsi per un bacio.

“Non subito, amica mia. Prima ti darò gli ordini per il mio piacere, e il peso della disciplina dipenderà dal tuo comportamento”.

“Sì, mio bell’ufficiale. Comanda. Io obbedirò e ne sarò felice”.

Belladonna respirò profondamente per richiamare il potere e vide l’effetto nel nuovo tremore che attraversò il corpo nudo della Regina: senza essere toccata da mano di Uomo o di Elfa la Donna prese a vibrare e i grandi seni già pieni ed eretti sembrarono improvvisamente diventare ancora più grandi, sodi e alti e fecero mostra di voler raggiungere l’Elfa, che pure si manteneva a due passi di distanza, come per chiedere un bacio sui capezzoli lunghi e appuntiti. La Regina serrò le labbra e prese a genere, come se fosse impegnata a raggiungere il piacere giocando con un vigoroso membro virile: i movimenti dei fianchi della Donna imitavano quelli di una femmina a cavalcioni di un maschio, intenta ad accoglierlo dentro di sé il più a fondo possibile. L’Elfa richiamò il potere e la Regina si fermò di colpo, ansante, la fronte coperta di sudore, le labbra ora semiaperte a mostrare i denti bianchissimi e la rosea punta della lingua.

“Brava, amica mia. Ecco quale sarà la prova: ti porterò qui una sorellina e giocherete assieme il resto di questo gioco del piacere che hai già iniziato. Cosa dici?”.

“Dico che farò tutto quello che vorrai ordinarmi, mio bell’ufficiale”. La voce della Regina si era fatta bassa e roca, e fece così correre un brivido lungo la schiena dell’Elfa, come se il potere che stava tornando all’interno della Donna cercasse il bersaglio che aveva mancato la volta precedente. E il potere, senza essere richiamato, di nuovo invase Belladonna, gonfiò le labbra della succosa vagina e prese infine forma nel turgido membro che cominciò a premere contro la pesante stoffa delle brache. E fu forse lo stesso potere che, in quella medesima piccola clessidra, spalancò la porta attraverso la quale entrò la Bastarda.

 L’Elfa bionda reggeva una piccola sacca di iuta, sorrideva e sembrava pronta a mostrarne il contenuto – gallette e formaggio duro di pecora – quando il potere di Belladonna la raggiunse; lasciò immediatamente cadere la sacca e prese a spogliarsi, in fretta ma senza frenesia, con la semplice economia di gesti imparata all’Accademia militare Elfica.

Belladonna recuperò il controllo del potere proprio grazie alla tranquilla furia dell’amante e lo diresse nuovamente sulla Regina; la Donna prima si morse le labbra carnose cercando di restare immobile, poi prese a gemere e l’odore dei suoi succhi che inondavano la vagina di fece ancora più forte.

I gemiti della Regina si fecero più cupi quando la Bastarda Reale, denudatasi del tutto, si inginocchiò silenziosamente al suo fianco. Il potere di Belladonna le avvolse entrambe e divenne più forte, mentre si nutriva di quello della Regina. L’Elfa bruna credette di parlare, ma in realtà proiettò i suoi ordini nelle menti della Donna e dell’Elfa inginocchiate devotamente davanti a lei.

“Tutto quello che vuoi, mio bell’ufficiale”, rispose allo stesso modo la Regina.

“Ai tuoi ordini, mia signora”, fu il pensiero della Bastarda: a lei, che non era bendata, il compito di guidare il gioco del piacere.