Accordi sottoscritti (6)

Il piccolo ufficiale arrestò il trotto e dietro di lui si fermarono i manipoli. Senza bisogno di ordini, gli esploratori cercarono e trovarono riparo in una cunetta e dietro alcuni cespugli: nella piena luce della giornata, davanti a loro si innalzavano le pareti lisce della piccola fortezza. Guionnen considerò la merlatura, la torre di guardia appena più elevata e le finestrelle a bocca di lupo disposte su tre ordini per giungere alla conclusione che condivise con i suoi graduati: da quella parte non c’era modo di entrare se non scalando una parete. Decise quindi di cercare un’altra e meno impervia via d’accesso. 

Muovendosi cautamente, le spalle al muro, la mano sull’elsa della spada corta, gli esploratori percorsero l’intero perimetro della fortezza, un manipolo tenendo la dritta, l’altro la sinistra, per incontrarsi all’ingresso: un cancello spalancato, guardato da una torretta,  che dava su un piccolo cortile non più largo e profondo di dieci passi; oltre quello, una facciata identica a quella posteriore, con l’unica differenza che, tra le bocche di lupo al piano terra, si aprivano due piccoli archi. 

Guionnen si chiese se all’interno del castelletto avessero già preso posizione le Streghe che magari li stavano fissando e li tenevano sotto il tiro dei giavellotti.  Non c’era che un modo per scoprirlo e, spada corta in pugno, fece cenno agli esploratori di seguirlo; attraversarono dunque il piccolo cortile in pochi passi e penetrarono nel fabbricato. Strizzarono gli occhi nell’improvvisa penombra aspettando di intravedere le tuniche chiare delle Streghe appostate negli angoli più oscuri e pronte ad affondare i giavellotti nelle gole o nei ventri degli Uomini.

Il piccolo ufficiale fece un cenno, in risposta al quale i fanti armati alla leggera si divisero in coppie ed iniziarono l’esplorazione del castello, che sembrava comunque e vuoto, e buio, e certamente inospitale.

Il piano terreno era proprio come Guionnen lo aveva immaginato, ovvero vuoto, buio e polveroso: mentre vi si addentrava, un passo dopo l’altro, si chiedeva come era stato possibile tenervi una guarnigione. I manipoli si riunirono ai piedi della scala stretta e tortuosa che portava ai piani superiori. Il piccolo ufficiale considerò la situazione, ammirò per una piccola clessidra l’ormai defunto ingegnere che sotto qualche dimenticato re aveva disegnato quella fortezza che sarebbe stata quasi inespugnabile anche se difesa da pochi uomini e si pose alla testa dei suoi: bisognava salire.

Accordi sottoscritti (5)

Guionnen era tornato senza rimpianti al comando di un plotone di esploratori essendosi offerto volontario per occupare il piccolo castello che dava il nome al centro abitato. Gli altri manipoli del suo plotone, guidati da un graduato anziano e sfregiato, che ricordava ancora il vecchio Re Sconfitto e la battaglia di Castel Beffardo, erano stati destinati a prendere posizione alla periferia occidentale del paesello. Non era felice di quegli ordini, che lo privavano di riserve alla mano delle quali avrebbe potuto aver bisogno se qualcosa fosse andato storto – e in genere se qualcosa può andare storto in prima linea questo accadrà, insegnavano gli esperti graduati istruttori agli imberbi allievi ufficiali – e non era felice di essere stato diviso dalla sua amante rimasta con i genieri ed il grosso dell’Armata. Mentre guidava i suoi imponendo un trotto veloce, il passo preferito dagli ufficiali superiori della fanteria leggera che però sarebbero stramazzati al suolo se avessero dovuto tenerlo per più di un braccio, non poteva fare a meno di riportare alla memoria l’ultimo gioco del piacere che avevano giocato prima di separarsi: era quella la volta in cui si era lasciato penetrare a lungo nell’ano dall’amante, che aveva indossato per l’occasione un nodoso membro virile di legno tenuto al suo posto da cinghie di cuoio; Guionnen era stato felice di lasciarsi dolorosamente legare al tronco di un albero, con le brache calate alle ginocchia e gli occhi bendati. Durante il gioco, prima mordendosi le labbra per non urlare di dolore, poi facendolo per non gemere di piacere, aveva ricordato la sua prima volta a quel modo, con Belladonna, nel bel mezzo delle Terre Sconosciute oltre la Frontiera, e con i Barbari nascosti chissà dove che li spiavano e probabilmente attendevano il momento giusto per attaccare e massacrare un’Armata che si ritirava. Aveva spruzzato il succo due volte mentre veniva penetrato, e poi la sua amante aveva chiesto di essere a sua volta legata, bendata e usata; e Guionnen era riuscito a raggiungere il piacere altre due volte, una nella succosa vagina che ben conosceva ed una nell’ano che aveva trovato meravigliosamente stretto ed accogliente. Ricordare il piacere dato e ricevuto aiutava Guionnen a tenere il passo: lo aveva imparato quando marciava oltre la Frontiera e pensava alle puttane del bordello a Castel Gelo, e poi alle due locandiere di cui si era servito dopo averle interrogate. Ripensare all’amante (grande, nera, muscolosa e piena di inventiva nel gioco del piacere come negli interrogatori delle Streghe) non aveva però il medesimo effetto, e solo ripensando a Belladonna e all’incredibile comparsa di un turgido membro virile forte e gentile sul suo liscio inguine di Elfa ritrovava la serenità e il passo giusto: confessava a sé stesso, ogni volta, che avrebbe voluto di nuovo giocare al gioco del piacere con lei.

Accordi sottoscritti (4)

Il sole era ormai alto nel cielo; Tessa ed un esploratore giovanissimo, quasi un bambino a vederlo, distribuirono galletta e formaggio. Belladonna aveva lasciato il cavallo alle cure di un robusto graduato che aveva dichiarato di intendersene e per dare sollievo alla schiena dolorante ed alle natiche indolenzite si era accovacciata alla maniera dei Barbari, appoggiata al robusto tronco di una quercia. Dopo aver inviato un cavalleggero incontro alle avanguardie di Geon – col suo potere sapeva che anche il grosso dell’Armata marciava rispettando la tabella di marcia ed era in vista di Castello Grande – non poteva fare altro che attendere; solo dopo il tramonto avrebbe lasciato che la Regina Nera uscisse dal carro in cui aveva viaggiato per respirare un po’ di aria fresca ed eseguire gli esercizi che ne avevano reso il corpo ancora più attraente e desiderabile. L’incontro con le Streghe, poi, era fissato per l’alba successiva, e per quello era pronta: doveva invece ancora decidere cosa fare del proprio futuro, di quello della Bastarda e del figlio che le aveva piantato dentro. Non voleva farsi regina, di fatto anche se non di nome, e l’idea di sparire in qualche Isola del Sud con l’amore della sua vita, e dolcemente invecchiare insieme crescendo un figlio era certamente la migliore che potesse immaginare, e non a caso: era una proposta dell’Elfa bionda, che in un’altra vita sarebbe davvero stata la Regina del popolo Elfico, e ne sarebbe certamente stata in grado. Belladonna sapeva anche che non era giusto e possibile lasciare un lavoro, qualsiasi lavoro, a metà dell’opera, si fosse trattato dello scavare una trincea, caricare una linea nemica o assicurare una guida alle Terre Conosciute.

L’Elfa considerò che era stata proprio lei – involontariamente, certo, ma era il risultato quello che contava – a trasformare una Regina capace, determinata e crudele in una ragazzina innamorata: proprio a lei, dunque, toccava rimediare. Capì anche perché la Regina non avrebbe avuto altri figli: quel fagottino urlante di carne che aveva visto venire alla luce avrebbe regnato, una volta giunto all’età della ragione, secondo le leggi antichissime del Regno Nero. Forse, a quel punto e solo allora, Belladonna avrebbe potuto prendere la Bastarda, i figli che avrebbero avuto, cambiare i propri nomi e sparire dalle Terre Conosciute. Non c’era neanche da attendere così tanto: il più giovane dei re di cui si trovava traccia negli annali del Regno Nero era salito sul trono all’età di dodici anni, dopo aver avvelenato i genitori, due zii e tre fratelli maggiori.

Belladonna continuò a sgranocchiare la sua galletta, innaffiandola con molta acqua acidulata: per un po’, l’Armata e il Regno avrebbero dovuto cavarsela senza di lei.

Accordi sottoscritti (3)

La Bastarda bloccò il cavallo a due spanne da Belladonna e balzò a terra con un volteggio elegante, suscitando nell’amante ammirazione, desiderio e invidia, in parti uguali. Postasi in posizione di rispetto, salutò alla maniera dell’Armata del Regno del Nord e si mise formalmente a rapporto; le due Elfe avevano scoperto che in questo modo era più semplice lavorare assieme, ed offrivano anche un esempio ai gregari: lancieri, cavalleggeri, esploratori, coscritti e richiamati, tutti sapevano battersi e lo avevano dimostrato tra il regno dei Boschi, la Provincia Redenta e le Terre Sconosciute oltre la Frontiera, ma quasi tutti difettavano di addestramento formale, per tacere della cosiddetta educazione militare.

Belladonna ammirò la compostezza dell’amante che sembrava non essere minimamente stanca, e nemmeno mostrava l’uniforme stazzonata o impolverata. Dovette sforzarsi per non desiderare di spogliarla e prenderla lì, su quel fazzoletto di erba secca, ed in quella precisa piccola clessidra, e ascoltò il rapporto.

“Mia signora”, fu dunque quanto Bastas disse, “le nostre avanguardie prendono posizione come previsto, e come previsto un manipolo di Streghe è già attestato all’altro capo della città; ho verificato la residenza dell’amministratore regio nella piazza principale: è in discrete condizioni e potremo utilizzarla come sede dei colloqui”. Belladonna annuì, seguendo il filo dei propri pensieri e cercando di richiamare alla mente la mappa della cittadina. “C’è una piccola fortezza nel punto più alto del paese”, proseguì la Bastarda, “e suggerisco di occuparla prima possibile, mia signora, magari entrando da dietro, facendo un giro più largo e senza passare all’interno del paese. Faremo sempre in tempo, dopo, a neutralizzarla, se le Streghe protesteranno”.

“Provvedi, tenente, ma non consumare troppi esploratori: un plotone, meglio di meno, e senza prendere rischi inutili: siamo qui per trattare la pace, non per combattere un’altra battaglia. E nel frattempo dovrai prendere contatto con l’ufficiale in comando delle Streghe e concordare i prossimi passi”.

“Comanda, mia signora. Agli ordini”. La Bastarda salutò, attese che Belladonna ricambiasse il salutò e si congedò con un perfetto movimento di inversione di fronte. Belladonna ammirò la danza dei fianchi snelli sotto le brache da cavalleria, ampie sì ma che riuscivano chissà come a sottolineare le curve dell’Elfa bionda: l’Elfa bruna riconobbe la mano di Rebon che anche a lei aveva procurato, non appena giunto al campo, tunica e brache nuove e che la vestivano perfettamente.

Accordi sottoscritti (2)

Con l’aiuto di Rebon sarebbe stato più facile, pensò poi con un sorriso. Il piccolo lanciere aveva predisposto tutti i documenti necessari in un paio di clessidre – proprio mentre Belladonna piantava il figlio dentro la Bastarda, molto probabilmente – e poi aveva spedito le nomine con i più veloci cavalleggeri; i decreti firmati dalla Regina che ancora provava gli spasmi del piacere preso e dato con le due Elfe erano stati registrati e resi pubblici. Belladonna aveva ricevuto, con lo stesso mezzo, i messaggi di ringraziamento ed ossequio indirizzati alla Regina dai generali che avevano ricevuto gli incarichi.

Era già pronto e firmato il decreto che ratificava il trattato di pace con le Streghe, nonché quello che istituiva un Consiglio Segreto di Governo, guidato proprio da Belladonna, alla quale era affidato il compito di nominare gli altri consiglieri. Questi ultimi decreti sarebbero stati pubblicati solo al momento opportuno.

Con la Bastarda e Rebon avevano anche trovato il tempo di valutare cosa fare delle Streghe che sarebbero state consegnate ai vincitori per essere punite, ovvero coloro che avevano scatenato la guerra di aggressione contro il Regno Nero. Le Streghe rappresentanti la nuova Tavola si auguravano di vederle uccise dal nemico: si sarebbero liberate di un problema ed avrebbero conservato le mani pulite; si erano quindi trovati d’accordo di non rendere questo favore e di escluderne la sorte dai termini della trattativa: le componenti della vecchia Tavola sarebbero state imprigionate nel livello più profondo della più profonda miniera del Regno Nero, in attesa di un processo che non sarebbe mai stato celebrato, e avrebbero sempre costituito una latente minaccia per la nuova Tavola.

“In effetti”, aveva concluso la Bastarda, “passare le prossime stagioni nella peggiore prigione del Regno è per loro una punizione più che adeguata”.

“Comanda, mia signora. Il tenente sta tornando”.

La voce profonda di Toson riportò Belladonna alla clessidra presente. La sinistra dell’Elfa corse meccanicamente all’impugnatura di Sorriso Solitario, per poi tornare a stringere nervosamente le redini: come sempre, non si sentiva a proprio agio in sella ad un cavallo. Aguzzò lo sguardo e più che vedere intuì una nuvoletta di polvere in fondo alla sterrata che si snodava fino all’orizzonte e rimpianse di aver dovuto rinunciare agli occhi acuti delle Streghe arruolate nell’armata di Castello Tonante, che avevano a lungo marciato al suo fianco e che erano state trasferite in fortezza da qualche parte, per ordine dello Stato Maggiore: un ordine, a parere di Belladonna, stupido e crudele, che avrebbe causato più problemi di quelli che sembrava aver risolto, trasformando delle provate veterane in traditori fino a prova contraria.

“Rebon, porta i carri al riparo. E voglio un paio di manipoli di esploratori attestati dal nostro lato del paese, a dare il cambio alla fanteria mobile che mi serve qui”.

“Comanda, mia signora. Cambio della guardia ogni due clessidre e lancieri alla mano per la manovra, come mi hai insegnato”.

Il piccolo lanciere aveva imparato ben più di questo: i gradi di ufficiale erano provvisori, ma Belladonna già stava rimuginando un nuovo decreto reale per premiare i veterani che intendevano restare in servizio con avanzamenti di grado e percorsi preferenziali nella Scuola di Guerra.  Nonostante i suoi desideri ormai aveva preso a ragionare come se avesse deciso di rimanere nel Regno Nero per il resto della sua vita, anche se di questo avrebbe ancor dovuto discutere con la Bastarda.