Accordi sottoscritti (10)

Guionnen si chiese finalmente se alle sue spalle non fosse presente un’altra Strega, pronta a piantargli nel mezzo delle reni il giavellotto che maneggiavano con tanta abilità. Scacciò il pensiero ed affondò di più la lama prima di rispondere: “Non ho voglia di ucciderti. Ordine alle tue sorelle di lasciar cadere le armi e di inginocchiarsi lì dove si trovano e almeno oggi non morirà nessuno”.

“Lo farò, ma tu allontana questo coltello, che taglia e mi porta sempre più lontano  dalla mia vita futura”, replicò la Strega; e a Guionnen sembrò, per la prima volta, di percepire il terrore nella voce della Strega sotto di lui. Lo stesso terrore, insomma, che aveva visto begli occhi bianchi delle prigioniere che con la sua donna feriva lentamente prima di scegliere il momento giusto per porre le domande. Ridusse appena la pressione della lama e la Strega modulò un richiamo nella sua incomprensibile lingua.

Il piccolo ufficiale spinse di nuovo il coltello contro la pelle delicata della Strega. “Parla nella lingua comune”, intimò. E prima che la Strega potesse dire qualcosa alle spalle di Guionnen risuonò la voce acuta di un esploratore giovanissimo.

“Tenente, tutto a posto. Le abbiamo prese tutte, e senza fargli troppo male”.

“Non è questo il modo di fare rapporto”, si intromise, da qualche parte, un anziano graduato con la sua voce roca. Guionnen lo aveva lasciato a guidare un manipolo di fanti armati alla leggera e la sua fiducia era stata premiata. Sentì la Strega agitarsi sotto di lui irrigidendo tutti i muscoli per poi abbandonarsi, e la vide chiudere gli occhi. Con gli occhi ancora chiusi, parlò di nuovo: “Davvero dovresti uccidermi e liberarmi dalla vergogna: ho portato le mie sorelle alla rovina, alla sconfitta ed alla schiavitù. Fallo, ti prego, e nell’altra vita ti servirò quando arriverà il tuo turno”.

“Oggi non deve morire nessuno”, replicò secco Guionnen, “lo abbiamo già detto, e non morirai neanche tu. Adesso tolgo il coltello, tu girati lentamente, a pancia sotto”.

La Strega obbedì, sentendo che l’Uomo pesava meno sopra di lei e che la lama del coltello premeva meno sulla pelle.

“Mani dietro la schiena, adesso”. Guionnen piazzò un ginocchio sulla nuca della Strega immobilizzandola. Strappò poi un lembo della tunica tagliandolo con il coltello, e legò rapidamente i polsi della sua prigioniera.

“Non voglio farti male, ma capirai che non mi fido”, disse poi; la afferrò per i capelli e la fece mettere in ginocchio. “Vi riporterò dalle vostre sorelle”, aggiunse, “se mi giureranno di stare alla larga da questa piazzaforte: i miei superiori vogliono avere le spalle coperte domani, quando si incontreranno con i tuoi”. Il piccolo ufficiale perquisì rapidamente la Strega e si impossessò di un piccolo e affilatissimo pugnale che questa portava legato alla coscia; con sua sorpresa, si rese conto che la prigioniera non aveva con sé acqua o gallette.

La Strega, mentre l’Uomo la frugava, restava in silenzio, immobile: anche quando Guionnen infilò un dito nell’ano alla ricerca di chissà cosa. Alla fine, le fu ordinato di alzarsi in piedi e finalmente parlò: “Cosa intendi fare, Uomo, alle mie sorelle?”.

“Lo stesso che farò a te, andremo ai tuoi avamposti e vi restituiremo, tu e le altre, al tuo superiore. Tu lo hai detto, la guerra è finita e siete state sconfitte, e adesso appartenete alla mia regina: non voglio certo danneggiarvi”.

Accordi sottoscritti (9)

Guionnen si chiese finalmente se alle sue spalle non fosse presente un’altra Strega, pronta a piantargli nel mezzo delle reni il giavellotto che maneggiavano con tanta abilità. Scacciò il pensiero ed affondò di più la lama prima di rispondere: “Non ho voglia di ucciderti. Ordine alle tue sorelle di lasciar cadere le armi e di inginocchiarsi lì dove si trovano e almeno oggi non morirà nessuno”.

“Lo farò, ma tu allontana questo coltello, che taglia e mi porta sempre più lontano  dalla mia vita futura”, replicò la Strega; e a Guionnen sembrò, per la prima volta, di percepire il terrore nella voce della Strega sotto di lui. Lo stesso terrore, insomma, che aveva visto negli occhi bianchi delle prigioniere che con la sua donna feriva lentamente prima di scegliere il momento giusto per porre le domande. Ridusse appena la pressione della lama e la Strega modulò un richiamo nella sua incomprensibile lingua.

Il piccolo ufficiale spinse di nuovo il coltello contro la pelle delicata della Strega. “Parla nella lingua comune”, intimò. E prima che la Strega potesse dire qualcosa alle spalle di Guionnen risuonò la voce acuta di un esploratore giovanissimo.

“Tenente, tutto a posto. Le abbiamo prese tutte, e senza fargli troppo male”.

“Non è questo il modo di fare rapporto”, si intromise, da qualche parte, un anziano graduato con la sua voce roca. Guionnen lo aveva lasciato a guidare un manipolo di fanti armati alla leggera e la sua fiducia era stata premiata. Sentì la Strega agitarsi sotto di lui irrigidendo tutti i muscoli per poi abbandonarsi, e la vide chiudere gli occhi. Con gli occhi ancora chiusi, parlò di nuovo: “Davvero dovresti uccidermi e liberarmi dalla vergogna: ho portato le mie sorelle alla rovina, alla sconfitta ed alla schiavitù. Fallo, ti prego, e nell’altra vita ti servirò quando arriverà il tuo turno”.

“Oggi non deve morire nessuno”, replicò secco Guionnen, “lo abbiamo già detto, e non morirai neanche tu. Adesso tolgo il coltello, tu girati lentamente, a pancia sotto”.

La Strega obbedì, sentendo che l’Uomo pesava meno sopra di lei e che la lama del coltello premeva meno sulla pelle.

“Mani dietro la schiena, adesso”. Guionnen piazzò un ginocchio sulla nuca della Strega immobilizzandola. Strappò poi un lembo della tunica tagliandolo con il coltello, e legò rapidamente i polsi della sua prigioniera.

“Non voglio farti male, ma capirai che non mi fido”, disse poi; la afferrò per i capelli e la fece mettere in ginocchio. “Vi riporterò dalle vostre sorelle”, aggiunse, “se mi giureranno di stare alla larga da questa piazzaforte: i miei superiori vogliono avere le spalle coperte domani, quando si incontreranno con i tuoi”. Il piccolo ufficiale perquisì rapidamente la Strega e si impossessò di un piccolo e affilatissimo pugnale che questa portava legato alla coscia; con sua sorpresa, si rese conto che la prigioniera non aveva con sé acqua o gallette.

La Strega, mentre l’Uomo la frugava, restava in silenzio, immobile: anche quando Guionnen infilò un dito nell’ano alla ricerca di chissà cosa. Alla fine, le fu ordinato di alzarsi in piedi e finalmente parlò: “Cosa intendi fare, Uomo, alle mie sorelle?”.

“Lo stesso che farò a te, andremo ai tuoi avamposti e vi restituiremo, tu e le altre, al tuo superiore. Tu lo hai detto, la guerra è finita e siete state sconfitte, e adesso appartenete alla mia regina: non voglio certo danneggiarvi”.

Accordi sottoscritti (8)

La Strega si fermò ad un palmo da Guionnen e attese la sua compagna. Come in un balletto, la seconda Strega sopravanzò la prima di due passi, appena fuori dalla portata della lama di Guionnen e si voltò mostrando la schiena. L’altra mosse un passo, raggiunse la compagna e in una piccola clessidra le due Streghe furono schiena contro schiena. Impossibile prenderle alle spalle. Guionnen non poteva vederlo ma era certo che anche l’altra coppia aveva assunto la stessa posizione difensiva.

Gli esploratori erano in attesa del segnale di Guionnen. Ma prima che l’ufficiale potesse dare l’ordine di attaccare una Strega parlò rendendo melodiosa la lingua comune che sembrava padroneggiare come e meglio di un cittadino del Regno: “Sappiamo che siete qui, e non è necessario batterci. Neutralizziamo questa fortezza che non servirà a nessuno”.

Guionnen si alzò in piedi per rispondere, la spada in basso: “Lasciate cadere le armi e tornate da dove siete venute, non vi toccheremo”.

“Se volete le nostre armi dovrete venire a prenderle. Noi possiamo tornare indietro, poi potete seguirci: mettiamo un picchetto congiunto all’ingresso e nessuno si farà male. Non ce n’è bisogno, la guerra è finita”.

Mentre Guionnen pensava ad una risposta dal tono conciliante, dall’altra ala del palazzotto giunsero grida indistinte. Rumori di metallo contro metallo e, infine, l’inconfondibile tonfo di un corpo che cade a terra.

Guionnen smise di pensare ed agì in fretta: lasciata cadere la spada corta impugnò il coltello e balzò in avanti. Con una piccola clessidra di ritardo la Strega cercò di schivare l’attacco ma rimase travolta dall’impatto con l’esploratore e si trovò schiena a terra, la lama affilata alla gola. Nel balzo, Guionnen aveva dimenticato tutto il resto, l’altra Strega, il suo gregario, gli esploratori appostati negli angoli più bui, lo scontro di cui aveva udito la conclusione: cercava solo di ricordare quanto aveva imparato in accademia prima, alla scuola di applicazione della fanteria leggera poi, e infine nel corso delle sue due campagne.

Premeva sul torace della Strega con un ginocchio; ne stringeva i polsi con una mano, fissando la Strega negli occhi bianchi cercando di riprendere fiato e respirare normalmente; sotto di lui, la Strega che aveva cercato di sfuggirgli si era abbandonata dopo aver avuto la pelle della gola intaccata dalla lama del coltello, ed un rivoletto di sangue scorreva fino al pavimento, dopo aver macchiato la tunica bianca. Era rosso, come quello degli Uomini e degli Elfi: Guionnen già lo sapeva, ma ogni volta ne era sorpreso.

“Ci odi tanto e vuoi uccidermi? Fallo pure, sei stato più bravo o fortunato, il che poi è lo stesso, poiché le tre dee ti hanno preferito a me e sono nelle tue mani. Una sorella non chiede pietà per sé e non lo farò”, disse la Strega, “ma non tagliarmi più così, affonda la lama con un colpo solo”. La voce della Strega nonostante tutto era sempre melodiosa, anche nella lingua comune che aveva utilizzato, e non lasciava trapelare la minima tensione o alcuna traccia di paura.

Accordi sottoscritti (7)

Anche il primo piano era vuoto e polveroso; meno buio, però, ché dalle bocche di lupo entrava più luce. Gli esploratori visitarono corridoi, stanze e stanzette di cui era difficile comprendere l’uso e di nuovo si ritrovarono alla scala. Fu in quella piccola clessidra che il più giovane graduato fece prima cenno a tutti di tacere e di fermarsi, poi indicò il pavimento di mattoni coperto da uno spesso velo di polvere, sul quale spiccavano i segni degli stivaletti chiodati degli esploratori. Guionnen e tutti gli altri obbedirono tendendo le orecchie ed annuirono: nel castelletto era entrato qualcuno che si muoveva silenziosamente ma non abbastanza. Guionnen riconobbe lo scalpiccio di piedi nudi sul marmetto che rivestiva i pavimenti del piano terra e cercò di pensare in fretta.

“Dunque”, pensò, “abbiamo anticipato di pochissimo le Streghe che hanno avuto la nostra idea, e che la hanno messa in pratica meglio di noi perché hanno tolto i loro sandali con la suola di cuoio sottile. Ora dobbiamo essere più bravi di loro”.

Gli esploratori non ebbero bisogno di ordini per restare muti e immobili: il piccolo ufficiale doveva decidere cosa fare, e come. Non c’era scelta se non sorprendere le Streghe ed intimare loro la resa – tra gli ordini quello di non ingaggiare una nuova battaglia era stato il più chiaro. Guionnen non poteva essere più d’accordo: un corpo a corpo con le Streghe, in spazi ristretti e sconosciuti, era il modo migliore di farsi ammazzare a guerra già vinta. Con pochi cenni, dispiegò dunque gli esploratori non più per manipoli ma a coppie, dietro gli angoli e negli spazi più bui: ben addestrati, i fanti armati alla leggera si spostarono a quattro zampe per non fare rumore con gli scarponi chiodati; quando tutti furono in posizione, Guionnen notò le tracce lasciate sulla polvere. Troppo tardi per fare qualcosa, pensò ancora estraendo la spada corta, non ci resta che giocarcela meglio che possiamo.

Gli esploratori cercarono addirittura di trattenere il respiro quando dall’imboccatura della scala a chiocciola spuntò il capo di una Strega. Gli occhi bianchi dardeggiarono nella penombra mentre la Strega si guardava attorno prima di superare gli ultimi gradini e avanzare silenziosamente. Dietro di lei, una dopo l’altra, altre tre Streghe, le scarpe appese al collo per le stringhe annodate, i giavellotti impugnati a metà dell’asta, le tuniche chiare impolverate che le facevano sembrare dei fantasmi.

“Ne sono rimaste altre al piano di sotto?”, si chiese Guionnen. Non c’era modo di saperlo, ed era troppo tardi per rimpiangere di non aver lasciato qualcuno di picchetto all’ingresso. Anche le Streghe si divisero in coppie, una a destra e una a sinistra. Guionnen attesa, gli occhi fissi sull’obbiettivo, conscia della presenza al suo fianco del gregario che ancora sembrava trattenere il respiro.