Negoziati di pace (9)

“Finalmente, mia signora, disperavo di poterti raggiungere. Ci siamo fermati e Tessa mi sta baciando come Bastas sta baciando te. Ripartiremo subito, ma tu mandaci incontro una compagnia di lancieri: dietro di noi ci sono uomini mandati dal generale Deron per ucciderti. Ci raggiungeranno con la scusa di rinforzare la scorta ma quando ci troveranno con i tuoi uomini accanto torneranno indietro, e se non lo faranno saremo noi a eliminarli. Manda Lana Mastdottir ma tieni Bastas accanto a te. E ora, mia signora, con il tuo permesso, spruzzerò il succo perché dobbiamo ripartire. Raggiungi il piacere anche tu e dai subito gli ordini, ci vedremo presto ed avrò molto da raccontarti”.

La voce del piccolo lanciere si trasformò in un gemito di piacere tanto forte e prolungato che l’Elfa bruna ebbe un lampo di invidia per Rebon, e immediatamente dopo raggiunse il piacere a sua volta, inondando la faccia dell’amante con quello che doveva uscire dal corpo.

La Bastarda si leccò le labbra e sorrise. “È stato bellissimo, mia signora. Adoro questo nuovo sapore che si aggiunge a quello che conosco così bene”, disse.

Belladonna sorrise a sua volta, prima di rispondere: “Farfallina, non posso farti raggiungere il piacere, devo ordinarti di mandare Lana Mastdottir e le sue Barbare incontro alla Regina, che sta arrivando con Rebon, e la Guardia ha bisogno di rinforzi”.

L’Elfa bionda abbassò gli occhi, imbarazzata, e arrossì: “Non preoccuparti, mia signora, ho raggiunto il piacere tre volte mentre ti servivo. Mi punirai per questo? So di meritarlo, e sarò disciplinata ed obbediente se vorrai frustarmi”.

“Lo farò, ma non subito. Ho qualche interessante progetto per te, Farfallina, e lo metterò in pratica non appena possibile. Ora vai, portami Lanas e fai preparare la sua compagnia”.

La Bastarda si alzò in piedi con un movimento elegante che Belladonna ricordava averle già visto quando, nuda, si inginocchiava per ringraziare del piacere ricevuto e attendeva poi che l’amante la ringraziasse a sua volta, assunse la posizione di rispetto, sbatté i tacchi ed effettuò un perfetto dietrofront, prima di marciare fuori dalla tenda facendo oscillare più del necessario le natiche alte e sode che le ampie brache dell’armata non riuscivano a mortificare; Belladonna sorrise pensando che il potere le aveva già mostrato non il futuro ma una  possibilità, e cioè quella di servirsi dell’Elfa e della Regina assieme. Non ci avrebbe rinunciato.

Negoziati di pace (8)

L’Elfa bruna annuì; questo incoraggiamento piacque all’Elfa bionda che allo stesso modo aprì le brache tenute chiuse in vita da un robusto bottone di metallo.

Altri bottoni, più piccoli e di osso, formavano una lunga fila sul ventre piatto di Belladonna, fino al cavallo delle brache; la Bastarda li affrontò con uguale determinazione, le narici riempite dal familiare profumo di Elfa in calore che attraversava la stoffa pesante e copriva ogni altro odore.

La Bastarda parlò senza alzare lo sguardo, gli occhi fissi sulla succosa vagina che era apparsa dopo l’opera sua.  “Posso, mia signora?”, chiese. Belladonna non riuscì a parlare, e dunque appoggiò la mano sulla nuca dell’Elfa bionda e con gesto più rude del necessario attirò a sé l’amante che finalmente affondò la lingua nella succosa vagina aperta e profumata ed iniziò ad assaporare i nuovi succhi che la inondavano.

Belladonna inarcò le reni per meglio offrirsi e dopo poche piccole clessidre cominciò a gemere, piano all’inizio, poi più forte; avrebbe voluto afferrare la Bastarda per la ricca criniera di riccioli dorati, strinse invece la nuca appena velata dalla sottile peluria bionda che invocava l’applicazione del rasoio tenuto da una mano esperta; strinse anche le cosce, quasi ad assicurarsi che l’amante non potesse cessare l’esperta carezza, e si abbandonò nuovamente alle ondate di piacere che la attraversavano. E nella sua mente comparve una nuova immagine: Rebon, alla guida di un gruppetto di lancieri montati che facevano ala a due carri chiusi, identici, di quelli che nei Regni degli Uomini si utilizzavano per trasportare carichi pesanti. L’Elfa seppe che il piccolo convoglio era quello della Regina Nera e riconobbe il tratto della strada che stava percorrendo: se si fossero fermati per la notte, sarebbero giunti a destinazione entro la mattina successiva. 

Belladonna si abbandonò all’indietro, e con la mano libera prese a torturarsi i capezzoli eretti attraverso il tessuto della casacca; si interruppe dopo poche piccole clessidre perché il piacere era diventato troppo forte da essere insostenibile e non voleva raggiungere così in fretta il piacere, ma riprese perché le era sembrato di sentire la voce di Rebon, mentre lo faceva. E così, il piccolo lanciere le parlò nella mente mentre si mordeva le labbra per non urlare di piacere.

Negoziati di pace (7)

Passarono poche piccole clessidre e nella mente di Belladonna il mago emise un gemito e spruzzò abbondante succo del piacere sul viso della Barbara che lo aveva così bene servito, per sparire subito dopo; l’Elfa credette di aver sentito la voce della Barbara, riconoscibile per il ruvido accento, ringraziare, poi gemette a sua volta grazie alla lingua ed alle labbra della Bastarda che continuava devotamente a baciare e leccare. Belladonna la guardò ed incontrò il suo sguardo, e vi lesse tutto l’amore delle Terre Conosciute; si chiese se dentro l’Elfa bionda vi fosse già suo figlio, come aveva predetto il mago, o se ancora doveva piantarglielo dentro, poi la sua mente vide un gruppo di cavalieri che avanzava faticosamente al passo lungo il crinale di una collina sassosa e riarsa. Si rese conto che non era una visione ma una immagine di qualche clessidra precedente perché i cavalieri erano in pieno sole. Erano anche palesemente stanchi, assetati e impolverati dalla testa ai piedi e sembravano stanchi anche i cavalli.

Tra le tuniche scure degli ufficiali della Regina Nera, spiccava la veste corta e leggera della giovane Strega che cavalcava in mezzo a loro.

Belladonna non aveva mai visitato quella parte delle Terre Conosciute: aveva però studiato la geografia militare ai tempi dell’Accademia e, dalle descrizioni e dalle mappe riconobbe dove si trovassero i suoi ufficiali: con la Strega prigioniera molto probabilmente sarebbero giunti al battaglione entro due albe.

L’immagine sparì e l’Elfa si trovò di nuovo a fissare gli occhi azzurri della Bastarda, che si era interrotta e la fissava a sua volta attentamente.

“Mia signora”, le disse, “improvvisamente eri lontanissima. Cosa ti è successo? Non sono stata brava?”.

“Sei stata bravissima, farfallina, come sempre”, rispose Belladonna, decidendo immediatamente di tacere all’amante di come la stesse usando non solo per prendere piacere ma anche per risvegliare le capacità del potere di comunicare a distanza. “Continua, ti prego”.

E sfiorò le labbra della Bastarda con una carezza.

L’Elfa bionda sorrise appena, dardeggiò con la lingua sulla punta delle dita di Belladonna e abbassò pudicamente lo sguardo prima di chiedere: “Mia signora, vuoi togliere le brache? Vorrei sentire il tuo sapore”.

Belladonna piegò le labbra sottili in un sorriso prima di rispondere: “Se riesci a farlo tu senza usare le mani, farfallina. Solo con le labbra e con i denti, come facevo io con te”.

La Bastarda sorrise a sua volta mostrando i denti bianchissimi, e la punta della lingua comparve rosea tra le labbra rosse. Senza aggiungere parola portò le mani dietro la nuca e mosse il capo inarcando le reni per stringere tra i denti il bottone più in basso della tunica di Belladonna: in una piccola clessidra lo fece scivolare dall’asola e si concesse uno sguardo negli occhi castani dell’amante.

Negoziati di pace (6)

L’Elfa bionda prese a baciare e leccare la stoffa come se la sua agile lingua e le sue morbide labbra potessero attraversarla; ben sapeva cosa piaceva alla sua amante, e quindi portò le braccia dietro la schiena incrociando i polsi ed inarcò le reni. Belladonna si beò della vista delle natiche rotonde che riempivano le brache e della devozione così mostrata, e improvvisamente fu invasa dal potere che, ruggendo, sovrappose alla tenda in disordine e alla devota Bastarda ai suoi piedi una stanza scavata nella roccia, illuminata da fumosi bracieri, e arredata con un letto coperto di pellicce ed una rustica panca sulla quale sedevano Hideanseek ed una giovane Barbara. Ai loro piedi, era inginocchiata, nella medesima postura dell’Elfa bionda, una Barbara più robusta ed anziana, nuda ad eccezione di una sciarpa dai colori non lieti dell’Armata degli Uomini Liberi, il giallo ed il nero, legata come una benda a coprirle gli occhi.

La Barbara stava servendo il mago come l’Elfa bionda stava servendo Belladonna, e la giovane Barbara osservava a sua volta con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Poi il mago parlò nella mente dell’Elfa bruna.

“Benvenuta, Morwen. Vedo che ancora non controlli del tutto il potere, e ti dovresti scusare per l’intrusione, non credi?”.

“Ti porgo le mie scuse, Hide Attempsson. Non vorresti presentarmi le tue compagne? Io ti presenterò la mia”.

“Non serve, so che è la Bastarda Reale, tua prigioniera di guerra, amante e fidanzata e moglie e madre dei tuoi figli”.

Belladonna riuscì a dominare la sorpresa solo perché la Bastarda sembrava aver trovato un punto in cui il tessuto delle brache aderiva perfettamente al contorno della succosa vagina e le carezze ed i baci sembravano arrivare sulla carne nuda.

“Accanto a me”, continuò il mago nella mente dell’Elfa, “è mia moglie, Damar Astriksdottir, e con noi la nostra amante, Fray Rignarsdottir. Ho poco tempo perché Fray è bravissima con la bocca; ha già servito Damar e in poche clessidre estrarrà il succo del piacere anche da me. Avevi dunque qualcosa da chiedermi?”.

“Per la verità no”, rispose Belladonna senza emettere suoni, “in realtà stavo cercando di vedere la mia Regina ed i miei ufficiali che ho inviato con i termini di armistizio e resa dalle Streghe”.

Il mago sorrise e allontanò dal suo membro virile la Barbara che lo stava servendo prendendola per i folti capelli scuri.

“Dunque”, disse, “sembra che sia io a dovermi scusare per l’intrusione, allora. In realtà avevo pensavo di mettermi in contatto con te per avvertirti: non dovresti più tornare nella città capitale della Regina, lì non sei amata da persone molto potenti. Ma forse lo sapevi già”. E come a sottolineare che la conversazione era conclusa, attirò di nuovo la Barbara inginocchiata verso il turgido membro che puntava orgogliosamente verso l’altro e che, agli occhi della mente di Belladonna, sembrò enorme e impaziente di spruzzare il succo.

Negoziati di pace (5)

“Sì”, replicò, “entrambi sanno benissimo che non sono finiti crocifissi al gelo e con il ventre aperto come il padre solo perché io ho voluto i loro corpi per me; sanno benissimo che le loro vite mi appartengono secondo le leggi dei Barbari, dei Regni degli Uomini e degli Elfi, e che potrei ordinare loro in ogni momento di gettarsi sulle loro spade”.

La Bastarda rabbrividì prima di rispondere: “Mia Signora, sei davvero certa che lo farebbero”. E, dopo una breve pausa, ripeté: “Non pensavo di sentirti dire parole del genere, mia Signora. Sei diventata molto più dura”.

“Non ti piaccio più, farfallina?”, chiese sottovoce Belladonna. “Sono diventata così cattiva e spietata da non potermi più amare? E sì che per il re tuo padre ho ucciso, stuprato e bruciato meritandomi promozioni e medaglie”. Non appena lo disse, l’Elfa bruna se ne pentì; la Bastarda sembrò non far caso al riferimento al Re Suppliziato e sorrise con molta dolcezza all’amante prima di rispondere: “Tu hai combattuto più di una guerra, ma questa ti ha ferito, non solo il corpo ma anche la mente. Io posso e voglio curarti, perché ti amo”.

L’Elfa bruna sfiorò con la punta delle dita le labbra dell’amante. “Già mi stai curando, farfallina, e davvero non riesco a capire come ho fatto a fare a meno di te per tante albe e lune e clessidre”.

Per tutta risposta la Bastarda socchiuse le labbra, e prese a dardeggiare la lingua sulle dita che la sfioravano, fissando Belladonna negli occhi castani con i suoi azzurri. Morwen – in quei momenti l’Elfa bruna richiamava dal passato il nome elfico – ricambiò lo sguardo e spinse due dita oltre le labbra rosse ed i denti bianchi della Bastarda, che sbatté le palpebre come per annuire ed iniziò a muovere gentilmente il capo avanti e indietro, inghiottendo le dita e poi ritirandosi per lasciarle umide di saliva. Era questo un gioco che le due Elfe praticavano fin dagli inizi del loro rapporto, e che ora, con il potere che Belladonna poteva controllare, assumeva un significato del tutto nuovo e diverso.

“Lo so che hai voglia di me, farfallina, ed io ne ho di te, ma questo è il momento di lavorare”, aggiunse Belladonna, che non trovava la forza di sottrarsi alla carezza devota ed affettuosa delle labbra e della lingua dell’Elfa bionda. La quale, contemporaneamente protese una mano e la appoggiò con ferma gentilezza sulle brache della sua amante, proprio sull’inguine; non trovò il turgido membro cui si era oramai assuefatta, ma i contorni della succosa vagina che pure ben conosceva per averla a lungo, stagioni e stagioni prima, baciata, leccata e penetrata con la lingua, le dita e con i capezzoli eretti.

“Ripensandoci, abbiamo lavorato abbastanza, farfallina”, riprese sorridendo l’Elfa bruna, ponendo gentilmente una mano sulla nuca della Bastarda; con gentilezza, la guidò fino ad appoggiare le labbra sulla pesante tela delle brache militari, proprio lì dove questa celava la parte più sensibile della succosa vagina.

Negoziati di pace (4)

Le Streghe, già al corrente della morte di Mastro Petar per ordine della Regina, avevano infiltrato Mastro Wissen a corte e dopo aver ottenuto le informazioni che volevano lo avevano ucciso; avevano anche previsto di uccidere tutto il personale che aveva lavorato con il cerusico e, dopo ciascun parto, anche le puttane cui i figli erano stati piantati dentro, nonché tutti quelli che, in qualche modo, avevano avuto a che fare con l’esperimento della Regina Nera.

Le Streghe avevano deciso anche il destino della Regina, di cui però ignoravano la metamorfosi indotta dal potere di Belladonna, così come ignoravano che aveva dato alla luce la figlia che si era fatta piantare dentro.

“Come possiamo trattare con quella razza?”, chiede la Bastarda alla sua amante. Era così sconvolta da dimenticare che avrebbe dovuto usare le formule di rispetto verso i superiori, essendo in uniforme ed in pubblico. Anche Belladonna era rimasta scossa, e più di ogni altro particolare era stata colpita dal destino che le Streghe avevano riservato alla Regina, cui sarebbero stati piantati dentro figli una volta all’anno, utilizzando il succo del piacere degli Uomini che usualmente fecondavano le giovani Streghe: lo scopo, alle due Elfe, era rimasto oscuro, e sembrava loro che fosse solo un modo per umiliare la Regina.

“Dobbiamo, farfallina”, rispose Belladonna sullo stesso tono di familiarità. E continuò: “Non c‘è bisogno di trattare con gli amici, lo si fa con i nemici. Ma dobbiamo essere cauti, e non fidarci di nessuna di loro”. Sospirò e concluse: “Non vedo l’ora che arrivi Rebon, non mi sento certo sicura con le prigioniere affidate a Yuri Leonidovic”.

“Quell’Uomo del Nord è un incapace, mia signora”, concordò la Bastarda ritornando ad un eloquio più formale, “dovresti rimandarlo in linea ed affidare tutto a Guionnen”.

“Guionnen mi servirà in linea molto di più di Yuri Leonidovic”, replicò l’Elfa bruna, “e se farò una cosa del genere sarà per dargli l’ordine di uccidere gli ufficiali prigionieri”.

“E hai molta voglia di farlo, mia signora, non è vero?”.

“In realtà no: le Streghe hanno combattuto per la sopravvivenza della loro razza, e tutto per loro era lecito. Lo diventa anche per noi, ovviamente. Ricordi le lezioni più noiose dell’Accademia? Dopo aver spiegato tutte le regole e le leggi di guerra, concludevano che ognuno di noi doveva applicarle solo se non avrebbe messo in pericolo sé stesso e i soldati affidatigli dal re”.

La Bastarda sorrise e Belladonna le sfiorò le labbra con la punta delle dita prima di continuare: “Darò quell’ordine solo se non torneranno in tempo i nostri due ufficiali e la giovane Strega che ho inviato per consegnare i termini dell’armistizio, e sì, in quel caso lo farò volentieri. Ed ucciderò personalmente e molto lentamente il loro generale”.

“Non pensavo di sentirti dire parole del genere, mia Signora”, sussurrò la Bastarda lanciando un’occhiata verso la sagoma di Lillian Fennersdottir, che si intravedeva in posizione di attesa un passo fuori della tenda. Belladonna aveva raccontato della vendetta consumata sulla famiglia della giovane Barbara e del fratello, ma l’Elfa bionda non era certa che di loro ci si potesse fidare; al contrario, l’Elfa bruna ne era più che convinta.

Negoziati di pace (3)

Avutane licenza da Belladonna, il graduato si mise a rapporto a sua volta: “Comandate, mie signore, graduato Marison. Mi è stata affidata una prigioniera che ha espresso la volontà di riferire informazioni importanti”. Fatto un passo di lato, rivelò la presenza, alle sue spalle, di una Strega. Giovanissima, sotto la tunica macchiata di sangue sembrava scheletrica; gli occhi bianchi sbarrati, le labbra semiaperte attraverso le quali respirava affannosamente, un robusto canapo le stringeva la gola per sparire alla vista dietro le spalle: le Elfe sapevano che la stessa fune le impastoiava i polsi dietro la schiena costringendola in una postura innaturale e dolorosa. Guionnen sbatté i tacchi a sua volta: sotto lo sguardo gelido di Belladonna e della Bastarda, che avevano misuravano come e quanto avesse tormentato la Strega, non sembrava più particolarmente fiero dell’opera sua.

“Col tuo permesso, mia signora”, disse. E, rivolto alla prigioniera: “Ripeti alla nostra signora quello che hai detto prima”, ordinò alla Strega, “e potrai riposare”. La Strega deglutì a fatica e parlò.

Le due Elfe ascoltarono con sorpresa prima, raccapriccio poi, la lunga storia, al termine della quale la prigioniera si abbandonò, esausta e di nuovo sanguinante, tra le braccia robuste di Marison.

“Portatela al lazzaretto”, ordinò Belladonna, “e che sia curata immediatamente. Siamo responsabili della sua vita, e non possiamo permettere che la perda”. Poi, rivolta a Guionnen: “Questa Strega ha parlato ed è ridotta così. Mi chiedo come stiano quelle che non hanno detto nulla. Non hai il permesso di uccidere le prigioniere, Guionnen: voglio che tutte quelle che hai interrogato sin qui siano portate al lazzaretto, se ne hanno bisogno”.

“Come comandi, mia signora”, rispose Guionnen, fissando gli occhi in quelli dell’Elfa, “e dimenticherò quello che ho sentito dalla prigioniera, così come lo farà il graduato Marison”.

Rimaste sole, le due Elfe restarono qualche piccola clessidra in silenzio. Ognuna sapeva cosa stesse pensando l’altra: Guionnen e Marison avrebbero dimenticato quanto appena udito, e ricordato solo di aver tormentato una Strega giovanissima convinti di aver obbedito agli ordini, mentre loro non potevano permetterselo.

La Strega era stata scelta da Guionnen per essere interrogata tra le prime ed il giovane ufficiale non si era ingannato: nonostante la giovane età, la prigioniera aveva un grado elevato e ricopriva un ruolo importante nell’armata delle Informazioni delle Streghe, rispondendone direttamente alla Tavola.  E direttamente dalla Tavola aveva ricevuto gli ordini: le Streghe avevano marciato per conquistare non il Regno Nero, ma i segreti e gli strumenti di Mastro Petar, le puttane nelle quali erano stati piantati i figli, ed anche i figli già nati. Era per questo che l’armata, come aveva dichiarato il generale a Belladonna al momento della resa, si dirigeva verso la capitale della Regina e non verso le armate, provate dalla battaglia contro gli Elfi.

Negoziati di pace (2)

La Bastarda lasciò cadere la penna sull’improvvisato scrittoio e Belladonna alzò di scatto il capo dall’inventario delle gallette ad uno scoppio di voci dall’esterno; e poi all’interno della tenda piombò Guionnen, vanamente inseguito da Lillian Fennersdottir, assegnata da Lana Mastdottir per il turno di guardia. Il giovane ufficiale era visibilmente eccitato: assunse un’approssimativa posizione di rispetto e si mise a rapporto prima di averne avuto licenza.

“Mia signora”, disse, “c’è una Strega che dovresti ascoltare. Con il tuo permesso, è qui fuori sotto custodia, l’ho appena interrogata e vorrei che tu udissi queste informazioni direttamente dalle sue labbra”.

“Sarà bene per te che sia così importante come credi, Guionnen”, rispese l’Elfa alzandosi in piedi. Assieme a lei si alzò in piedi anche la Bastarda, che in un passo raggiunse la spada, la snudò e la impugnò tenendo la lama verso il basso: non voleva essere una minaccia ma un segnale.

“E tu, Lillian Fennersdottir, dovrai trovare il modo di tener bene a mente le tue consegne”, aggiunse Belladonna. La giovane Barbara arrossì assumendo a sua volta la posizione di rispetto, l’Elfa distese le labbra sottili in un sorriso e riprese: “Quando verrai rilevata mettiti a rapporto dal tenente Bastas. E adesso puoi scortare qui la prigioniera e la guardia, come da regolamento”.

Lillian Fennersdottir batté i tacchi prima di uscire dalla tenda, li batté di nuovo sulla soglia e si face rigidamente da parte lasciando il passo ad un graduato dell’Armata della Capitale che dovette chinare il capo e piegare la schiena per passare attraverso il varco pomposamente definito porta. La Donna si raddrizzò riempiendo il poco spazio libero all’interno della tenda e con qualche difficoltà assunse la posizione di rispetto; le due Elfe ammirarono il fisico possente ma proporzionato, i grandi seni che premevano la tunica, gli occhi scuri ed allungati, il naso dritto e forte, le labbra tumide e, infine, l’incarnato più scuro di quello degli abitanti delle Isole del Sud anche se più chiaro di quello di Toson e degli abitanti delle lontane terre meridionali. Fugacemente, Belladonna pensò che Guionnen aveva fatto una scelta che dimostrava la sua voglia di scoprire e sperimentare ogni cosa del gioco del piacere: in un lampo, il potere le mostrò il giovane ufficiale appoggiato ad un albero, le brache alle caviglie, e la Donna alle sue spalle che lo penetrava nell’ano con un grande membro di legno e cuoio stretto tra le cosce. La voce della Donna, che chiedeva il permesso di mettersi a rapporto, dissipò la visione.

Negoziati di pace (1)

Sotto la tenda, nella luce fumosa di alcune lampade ad olio, Belladonna e la Bastarda Reale lavoravano gomito a gomito. L’armata della Vittoria attendeva l’arrivo della Regina prima di marciare verso il confine della terra delle Streghe, e le due albe di attesa si erano trasformate in un incubo logistico. Tanto per cominciare, bisognava nutrire non solo i lancieri, ma anche le prigioniere, che pure tenute a mezza razione costituivano un grosso peso sulla riserva di gallette. Occorreva, poi, predisporre il piano per l’avanzata, considerando che esisteva un’unica strada, stretta ed in pessime condizioni, che portava al confine con la terra delle Streghe.

Le due Elfe avevano sacrificato sonno e gioco del piacere per trovare la soluzione, cui era appena giunta la Bastarda Reale: l’armata leggera avrebbe proceduto sui sentieri di collina provvedendo anche alla copertura dei fianchi, il più agile squadrone di Lana Mastdottir sarebbe stato all’avanguardia e la pesante unità di Geon, con le salmerie, avrebbe avanzato per compagnie e si sarebbe mossa a scaglioni. L’armata della Vittoria avrebbe dovuto assumersi un rischio, ma a quel punto era più urgente fare pressione sulle Streghe mostrando stendardi e armi proprio sulle loro frontiere, ed il più presto possibile. Ovviamente tutto retava sospeso fino all’arrivo della Regna Nera e della sua Guardia: Belladonna aveva deciso che non poteva più fare a meno di Rebon, mentre era costretta a sopportare la volonterosa incapacità di una giovanissima coscritta dei bassifondi della città capitale che Geon, dopo che Lillian Fennersdottir e Arjo Fennersson erano stati incorporati nello squadrone di Lana Mastdottir le aveva assegnato come attendente confidando più sull’aspetto fisico che sull’efficienza. L’Elfa era stanca di lavarsi in acqua fredda e di vedersi, in cambio, offrire il gioco del piacere nei momenti meno opportuni, gioco del piacere che una volta aveva provato a giocare per curiosità e sotto gli occhi del pari incuriositi della sua compagna bionda, e che si era risolto in un faticoso e insoddisfacente groviglio di membra; inoltre la giovane parlava una versione particolarmente incomprensibile della lingua comune, a causa del particolare accento del quartiere da cui proveniva e, per quanto avvenente nel suo fisico ben in carne tipico delle Donne del Regno Nero, i lineamenti regolari, i lunghi capelli scuri, le labbra carnose e gli occhi chiari, che ne facevano quasi una copia della Regina, non riusciva ad eccitare Belladonna e non era in grado nemmeno di tenere in ordine la propria uniforme che appariva sempre sporca e stazzonata, e men che meno quella dell’Elfa di cui avrebbe dovuto prendersi cura.

Belladonna aveva cercato di servirsi del potere per ottenere notizie della Regina, ma ne aveva visto solo il viso sorridente, senza ottenere altre indicazioni. Aveva anche rivissuto la notte successiva all’esecuzione di Re Szibelis e la punizione inflitta alla Donna: il potere le aveva offerto una strana visione in cui l’Elfa sembrava sedere in un angolo della cella assistendo allo spettacolo di sé stessa che prima legava i polsi della Regina ad una trave del basso soffitto, lasciandola pendere con le punte dei piedi a sfiorare appena il pavimento di terra battuta, poi  impugnava una lunga e pesante frusta e colpiva dieci volte la sua vittima, strappandole ogni volta un gemito seguito dal sottomesso “Grazie, mio bell’ufficiale” che la Donna aveva imparato a ripetere in quelle occasioni, e finalmente prendeva piacere da lei, ancora legata, usandola nell’ano e nella succosa vagina e consentendo alla fine che anche la Regina raggiungesse il piacere penetrandola con il manico della frusta. Per qualche ragione alla scena aveva assistito anche la Bastarda, coinvolta dal potere mentre era in ginocchio, impegnata a leccare la succosa vagina dell’Elfa bruna, che ne era stata terribilmente eccitata e aveva estorto la promessa di essere anch’essa punita assieme alla Regina alla prima occasione. Belladonna aveva acconsentito e contemporaneamente la succosa vagina si era trasformata in un turgido membro col quale aveva nuovamente riempito il ventre dell’Elfa bionda del succo del piacere, ripromettendosi di farlo ancora e ancora, fino a piantare un figlio dentro di lei. Aveva anche deciso che alla prima occasione e comunque prima che l’armata muovesse verso la frontiera della terra delle Streghe, avrebbe di nuovo giocato con Arjo Fennersson: anche lei provava il desiderio di avere un figlio.

La Resa delle Streghe (16)

“Per prima cosa, alla prossima distribuzione del cibo, avverti le prigioniere che non dovranno parlare che nella lingua comune, anche tra di loro: a chi disobbedirà verrà ridotta la razione e, se recidiva, verrà frustata”. Yuri Leonidovic corrugò la fronte nello sforzo di ricordare l’ordine, e l’Elfa continuò: “Ancora più importante, quando formi le squadre chiama delle prigioniere a caso, senza seguire l’ordine nel quale le hai registrate. In questo modo non rischi di formare squadre che corrispondano ai loro manipoli”. 

Era troppo per Yuri Leonidovic che scosse il capo come per schiarirsi le idee prima di rispondere: “Comanda, mia signora. Non ho capito, mia signora”.

“Mettiti a rapporto da Guionnen, prima di cambiare il gruppo di Streghe al lavoro. Ci penserà lui. E ordina alle prigioniere di lavorare più in fretta, non abbiamo tempo da perdere”.

I lineamenti squadrati dell’Uomo del Nord si distesero in una specie di sorriso: “Come comandi, mia signora”.

Belladonna raggiunse Guionnen: il giovane esploratore aveva appena messo al lavoro i genieri che si stavano accingendo ad erigere il locale per gli interrogatori e sembrava impaziente di mettersi al lavoro a sua volta, e ascoltò con attenzione le indicazioni dell’Elfa. Rispose infine: “Mia signora, Yuri Leonidovic potrà anche prendere i gradi da ufficiale, e per comandare una compagnia di lancieri in parata davanti alla Regina andrà benissimo, ma non dovrà fare niente di più impegnativo. Anche farsi ammazzare dalle Streghe è stato troppo difficile per lui, e infatti è sopravvissuto mentre il manipolo che comandava è stato spazzato via da un contrattacco sul fianco. Col tuo permesso, gli affiancherò un graduato che si occuperà di tutto quanto sia più complicato di lustrare gli stivali. Magari per lei potresti mettere una buona parola e farla entrare in accademia, quando firmerai la pace”.

Belladonna rise di cuore: “Ma certo. Però sarà la Regina a firmare la pace, non io: in accademia insegneranno anche questo alla tua bella”.

Rise anche Guionnen: “Mia signora, anche la mia bella che poi ti farò conoscere e che sembra la sorella maggiore di Toson, sa che la Regina firmerà solo se tu le dirai di farlo”.

Il sorriso si congelò sulle labbra sottili dell’Elfa, che immediatamente si chiese se davvero fosse stata così imprudente da rendere fin troppo pubblico il suo nuovo, improvviso ascendente sulla Regina. Se lo sapevano nell’armata, pensò, lo sanno di sicuro nello stato maggiore, e anche se non devo aspettarmi lo stesso trattamento riservato a re Szibelis, sono certamente candidata ad una lama affilata, o ad un sottile laccio di seta, o a quello che usano i sicari in questo Regno. Guionnen equivocò il silenzio e l’espressione corrucciata del generale e disse: “Comanda, mia signora. Stavo scherzando, naturalmente. Ma se vuoi ti presenterò la mia nuova donna, e se vorrai potrai servirtene, se ti piacerà, oltre a servirti di me come meglio vorrai”.

Belladonna approfittò della risposta di Guionnen per sviare il discorso: “E cosa ne pensa la tua bella della tua predilezione per i giovani Barbari, meglio se legati da vincoli di sangue?”, chiese. L’esploratore sorrise: “Approva, mia signora. Nella sua Isola, è d’uso apprendere i segreti del gioco del piacere tra consanguinei. Le ho indicato i fratelli, ora diventati la tua Guardia, e mi ha detto che il ragazzo è abbastanza giovane da essere sufficiente anche per lei”.

“Dovrò quindi invitare anche lei quando voglio passare una serata con te?”.

“Certo che no, mia signora. Solo se vorrai. Te la faccio conoscere, faceva parte dell’armata di riserva ed è passata sotto Geon, anche se avrebbe preferito venire con gli esploratori”.

Belladonna guardò più attentamente i genieri e notò tra di loro, più alta di ogni altro, un graduato che portava sulle spalle una catasta di tronchi; con i sensi da Elfa, percepì un odore simile a quello emanato dal gran corpo di Toson, ma era così infagottata con tunica, brache, sciarpa, guanti e berretto che di lei si distingueva a malapena il peculiare colore della poca pelle scoperta. Disse: “In effetti sono curiosa, ma ora lasciala al suo lavoro, e di lavoro parliamo anche noi. Hai già una lista di prigioniere da interrogare?”.

“Sì, mia signora. Ho scelto le più giovani, perché in realtà non stiamo cercando informazioni strategiche o tattiche, se ho capito bene i tuoi ordini”.

“Hai capito benissimo, Guionnen. E non danneggiarle troppo, altrimenti il loro valore scenderà e la Regina non sarà contenta. Magari potrai fare qualche domanda in più a quelle ferite, prima di farle traferire al lazzaretto”.

L’Elfa e l’Uomo si scambiarono un sorriso di intesa.